Secondo la nota definizione di Cary Cherniss, il Burn-out – termine traducibile in italiano con “bruciato”, “esaurito”- è un processo nel quale un professionista precedentemente impegnato si disimpegna dal proprio lavoro in risposta allo stress e alla tensione sperimentata sul lavoro.
Generalmente si riferisce alle cosiddette helping professions, cioè a quelle professioni caratterizzate da una forte componente emozionale come nell'ambito psicologico, medico, o nelle attività di tipo socio-assistenziali ed educative. Queste figure sono caricate da una duplice fonte di stress: il loro stress personale e quello della persona aiutata ed hanno pertanto maggiori probabilità di sviluppare un lento processo di "logoramento" o "decadenza" psicofisica.
Tra gli aspetti epidemiologici della sindrome del Burnout descritti nella letteratura, non sembra esistere un accordo unanime tra i differenti autori, sebbene si riscontri un determinato livello di coincidenza per alcune variabili quali età, sesso, turnazione lavorativa e sovraccarico lavorativo.
- Età: pare esista un periodo di sensibilizzazione in quanto, durante i primi anni di carriera professionale, il soggetto sarebbe maggiormente vulnerabile.
- Sesso: le donne, rispetto agli uomini,risultano più vulnerabili. Ciò è dovuto a vari motivi, come il doppio carico di lavoro (professionale e familiare) a cui sono sottoposte, e l'espletamento di determinate specialità professionali che prolungherebbero il ruolo di donna.
- Turnazione Lavorativa: la turnazione e l'orario lavorativo possono favorire l’insorgenza della sindrome.
- Sovraccarico Lavorativo: è sicura invece la relazione tra Burnout e sovraccarico lavorativo nei professionisti assistenziali, in quanto questo fattore produrrebbe una diminuzione, sia qualitativa che quantitativa delle prestazioni offerte da questi lavoratori.
Trattandosi fondamentalmente di una condizione di stress protratto in ambito lavorativo, le cause dirette che possono determinare una condizione di disagio in ambito lavorativo riguardano prevalentemente gli aspetti organizzativi e tra questi soprattutto le carenze dei servizi, la cattiva comunicazione tra il personale, il sovraccarico di lavoro, gli obiettivi mal definiti, l'eccessiva burocratizzazione e la mancanza di una vera organizzazione in èquipe, per discutere e valutare il lavoro.
Nello studio delle possibili cause del burnout è fondamentale includere l'analisi del contesto organizzativo nel quale l'individuo opera. La struttura e il funzionamento del contesto sociale influenzano il modo in cui le persone interagiscono tra loro e il modo di lavorare: quando l'ambiente lavorativo non riconosce l'aspetto umano del lavoro, il rischio di burnout cresce alimentando la sensazione di fallimento
Sul piano clinico la sindrome presenta una lunga serie di segni e sintomi variamente associati tra loro: alta resistenza a recarsi al lavoro, sensazione di fallimento, rabbia, senso di colpa e scoraggiamento, indifferenza, isolamento, senso di stanchezza, perdita di sentimenti positivi verso gli altri, difficoltà di concentrazione e di ascolto, problemi di insonnia, rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento.
Nei casi più gravi si possono manifestare importanti sintomi depressivi fino a costringere all'allontanamento dal lavoro stesso.
Negli operatori sanitari, la sindrome si manifesta generalmente seguendo quattro fasi:
- Fase preparatoria: caratterizzata dall'entusiasmo idealistico che spinge il soggetto a scegliere un lavoro di tipo assistenziale.
- Fase di stagnazione: il soggetto, sottoposto a carichi di lavoro e di stress eccessivi, inizia a rendersi conto di come le sue aspettative non coincidano con la realtà lavorativa. L'entusiasmo, l'interesse ed il senso di gratificazione legati alla professione iniziano a diminuire.
- Fase di frustrazione: caratterizzata da sentimenti di inutilità, di inadeguatezza, di insoddisfazione, uniti alla percezione di essere sfruttato, oberato di lavoro e poco apprezzato.
- Fase di apatia: l'interesse e la passione per il proprio lavoro si spengono completamente e all'empatia subentra l'indifferenza, fino ad una vera e propria "morte professionale".
La possibilità di valutare in termini quantitativi il livello di burnout è stato oggetto di svariati studi ed attualmente il test più diffuso è il Maslach burn out Inventory (MBI), che permette di indagare le tre dimensioni principali della sindrome:
l'esaurimento emotivo, cioè la sensazione di essere in continua tensione, la sensazione di depersonalizzazione, ovvero il provare disinteresse nei confronti del proprio paziente e del proprio lavoro e la perdita dell'autostima.
L'intervento, sia in termini di prevenzione che terapeutici, sulla sindrome del burn out, si individua nella presenza di una supervisione che fornisce un adeguato sostegno nel migliorare la qualità della vita all'interno del gruppo; l'obiettivo diventa quello di creare un feed-back significativo sui ruoli e sulle proprie competenze grazie alla definizione degli obiettivi.
A volte si rende necessario organizzare programmi psicoterapeutici individuali per ridurre lo stress, ma un importante metodo per alleviare lo stress lavorativo è quello di organizzare gruppi di supporto per il personale, come ad es. i gruppi Balint, centrati sull'analisi delle dinamiche interpersonali nella relazione medico-paziente, oppure attraverso l'analisi dei vissuti (lettura emotiva) tramite la discussione di casi clinici. Grazie a questo tipo di intervento vi è la possibilità di favorire la collaborazione tra colleghi, aumentare l'autostima e ridurre la tensione che frequentemente si determina sul lavoro.