martedì 17 maggio 2011

Lutto e Separazione

"Un lutto di cui non si parla è un lutto che non guarisce" (antico proverbio spagnolo)

Anche se può sembrare riduttivo, la parola “lutto”, nel suo significato più profondo (dal latino luctus = pianto), rimanda alla sofferenza derivante dalla perdita di una persona significativa per la propria vita sia essa data da separazione o da morte. Non si può perdere qualcuno che si ama senza divenire vulnerabili e provare dolore; è comunque una ferita e come tale deve essere curata in un processo di cicatrizzazione che richiede tempo e fatica; se questo non avviene il dolore si cronicizza o resta irrisolto.
Il processo di lutto è lento, progressivo, come scrive Freud in “Lutto e Melanconia”, un vero e proprio lavoro con fasi alterne, che permette di disinvestire il passato per ritornare alla realtà attuale. Secondo la teoria freudiana, la perdita di una persona amata comporta un disinvestimento di energia libidica nei confronti dell'altro con la conseguente e necessaria ricanalizzazione di tale energia. Per semplificare, la perdita restituisce a chi resta un fardello carico di emozioni che ci si trova costretti a gestire e reinvestire in maniera costruttiva. Come nella costruzione di una casa, il processo di investimento sull'altro è lento e graduale, la relazione si arricchisce quotidianamente, mentre la perdita è immediata e violenta; il crollo ci restituisce una mole di macerie che siamo costretti a raccogliere ed è proprio per questa ragione che è così difficile incanalare l'ondata emotiva in maniera sana, ridando forma alla polvere.
Il processo di lutto può essere paragonato a quello della potatura di un albero che lo libera dai rami morti per dargli nuova linfa e forza di germogliare. Apparentemente l’albero è spogliato ed impoverito ma è proprio la perdita di parti di sé danneggiate, che permette la nuova fioritura.
Dopo Freud, gli autori che si sono occupati dell'argomento, hanno definito alcune fasi che è necessario attraversare al fine di rielaborare correttamente una perdita. Per sintetizzare prenderemo in esame i cinque momenti salienti condivisi più o meno da tutti:
  • Negazione. Si tratta di un meccanismo di difesa che ci permette di attenuare l’intensa fase iniziale del dolore, ma deve scomparire entro pochi giorni.
  • Rabbia. Quando gli effetti mascheranti della negazione della realtà cominciano a svanire, riappare il dolore. Si tratta di un dolore violento e destabilizzante che probabilmente non si è ancora in grado di gestire. Il modo più immediato per esternare una carica emotiva troppo intensa è appunto la rabbia che può essere orientata verso sé stessi, verso la persona persa o verso il destino.
  • Auto recriminazioni. Si incomincia poi una fase in cui si auto recrimina su azioni che si sarebbero potute compiere per evitare o ritardare il lutto.
  • Depressione. La fase depressiva è probabilmente quella che occupa più tempo nell'intero processo di elaborazione, ha caratteristiche analoghe a quelle del disturbo depressivo, ma la durata della sintomatologia consente la diagnosi differenziale.
  • Accettazione. Dopo la fase di depressione, i sintomi depressivi regrediscono e la persona tenta di tornare alla normalità.
Ciò che distingue il dolore normale, così come delineato sopra, da quello anormale, è l’intensità e la durata delle reazioni lungo il tempo. Come abbiamo visto, la rabbia, così come la depressione, sono fasi che fanno parte del processo di elaborazione, ma se si rimane bloccati ad una di esse, l'evoluzione viene interrotta o cristallizzata, per l'impossibilità sostanziale di accettare il significato emotivo della perdita relazionale. In tal caso, quello che è il disagio o il dolore emotivo che accompagna normalmente ogni lutto, può ampliarsi fino ad assumere forme psicopatologiche.
La natura ha provvisto le persone di meccanismi di difesa che permettono di gestire l’angoscia, di affrontare situazioni difficili e controllare le reazioni emotive. Un uso appropriato di questi meccanismi è utile ed efficace, ma se eccessivo, il processo di risoluzione viene ostacolato e solo il progressivo distacco da questi, porterà all’esame di realtà e alla completa elaborazione della perdita che equivale alla possibilità vitale di spostare la libido su nuovi oggetti.
Il processo di rimozione, ad esempio, può essere adattivo nelle prime fasi del lutto, ma se diventa un ostacolo insuperabile e l'accettazione della perdita viene procrastinata all'infinito, il dolore tenderà a cronicizzarsi in una sorta di ruminazione continua che non lascia spazio ad altro.
La cosa più importante da tener presente per reagire ad un lutto in modo sano è prendere coscienza del fatto che una parte di noi sta soffrendo e che si tratta di una sofferenza motivata. Poco importa l'attribuzione di responsabilità, quel che conta è che qualcosa si è rotto, qualcosa su cui si era investito in termini di energia, fiducia e futuro ed è normale provare dolore. E' necessario pertanto rispettare ed accudire questo dolore fino a quando non si sarà attenuato.

domenica 1 maggio 2011

La personalità narcisista


Come si diceva la volta scorsa (http://psicochiacchiere.blogspot.it/2011_04_01_archive.html), spesso, il partner della persona “affettivamente dipendente” soffre a sua volta di qualche tipo di dipendenza o disagio che non lo rende in grado di vivere un amore maturo ed impedisce ad entrambi di realizzarsi all'interno di una vita di coppia. Generalmente sono persone incapaci di esprimere affetto, che ricercano ammirazione e gratificazione incondizionate: caratteristiche peculiari della personalità narcisista. Il carattere narcisista e quello dipendente si attraggono e si ricercano vicendevolmente poiché la realizzazione di bisogni inconsci così complementari rende queste due personalità perfettamente compatibili.
Dal punto di vista psicodiagnostico, se la dipendenza affettiva non è riconosciuta, lo è invece la personalità narcisista, classificata nel DSM IV (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) fra i disturbi di personalità. Con l'intento di non entrare troppo nello specifico campo psichiatrico, cercherò di descrivere il narcisismo come tratto di personalità, prendendo in considerazione le teorie psicodinamiche che ne descrivono cause e conseguenze. Come per la dipendenza affettiva, è necessario premettere che la differenza tra narcisismo sano e narcisismo patologico è molto difficile da cogliere. Il modo migliore per identificare le forme patologiche del narcisismo è osservare la qualità delle relazioni interpersonali: una tragedia che affligge queste persone è la loro incapacità di amare.
Tendenzialmente il narcisista si presenta come un soggetto affascinante, imprevedibile e seduttivo soprattutto nei primi momenti, salvo poi palesarsi in un altalenare di messaggi contraddittori. L'attività professionale, soprattutto se brillante e autonoma, costituisce l’aspetto predominante della sua vita perché gli dà la possibilità di dimostrare quanto vale. Si aspettano di ricevere approvazioni e lodi per le proprie qualità superiori, rimanendo sconcertati quando non ottengono i riconoscimenti che pensano di meritare e presentando spesso la tendenza a rimuginare circa tale mancanza da parte dell’altro. Hanno una forte tendenza ad usare gli altri per i propri scopi e quando non ottengono ammirazione, mettono in atto giochi di potere per sentirsi più forti seducendo oppure denigrando e accusando chi non li ammira o non la pensa come loro. Allo stesso modo, se si sentono troppo “legati” o se percepiscono l'altro troppo forte, si vendicano colpevolizzandolo e attaccandolo apertamente oppure richiudendosi nel silenzio e nella passività per ristabilire la sua supremazia di potere. Il narciso vuole piacere alla gente, essere ammirato e gratificato, ha una grande capacità di cogliere i punti deboli degli altri e di farli notare.
A causa della radicale inconsapevolezza di sé e dei propri limiti, il narcisista sceglie, senza saperlo, ciò che è male per sé, prende strade sbagliate, considerandole giuste, fa scelte inopportune, credendo di fare ciò che è utile a sé, e per questa grande illusorietà si trova spesso a raccogliere i frutti di una serie di esperienze fallimentari.
I principali studi psicodinamici suggeriscono che, nello sviluppo del disturbo narcisistico di personalità, occupa un posto di primaria importanza l’interazione che si sviluppa tra il genitore ed il bambino; in modo particolare si tratta spesso di relazioni primarie caratterizzate da un'indisponibilità dell'altro a rispondere al bisogno di cure, dunque dall’aspettativa del bambino di essere rifiutato. Tale condizione genera una tendenza ad organizzare la propria esistenza facendo a meno dell’amore degli altri, contando solo su se stesso e mirando all’autosufficienza assoluta.
A partire da tali premesse, è chiaro che per evitare il rifiuto, l'individuo impara a rinunciare a qualsiasi rapporto più profondo svalorizzandolo e contemporaneamente a dissociare gli aspetti del sé percepiti come negativi valorizzando i comportamenti che evitano il rifiuto, tra i quali, all'estremo, la negazione del bisogno.
Tale meccanismo di difesa è descritto dallo stesso Freud come “scissione dell'Io”: in seguito ad un profonda svalutazione del sé, il sé si difende scindendo l’Io in due parti, da una parte un io piccolissimo in cui vengono racchiuse tutte le sensazioni e i vissuti negativi, dall’altra un Io grandissimo, ideale, investito di poteri, competenze sociali e professionali eccezionali, senza limiti, cui tutto è concesso e dovuto. Si sviluppa così una personalità che da una parte ha un “Io Sociale” smisurato, che ha grandi capacità lavorative e professionali ed in grado di realizzare grandi progetti, e dall’altra parte ha un “Io Intimo” piccolissimo, fragile, pieno di paura ed insicurezze che è incapace di amare profondamente e di legarsi stabilmente.
In questa ottica “l’altro” non esiste in quanto altro da sé, ma ha la funzione di specchio in cui il soggetto narcisista può rispecchiare la sua immagine ricevendone conferma della propria “bellezza” e del proprio valore. Pertanto fin quando l’altro rimanda al soggetto narcisista un’immagine positiva ha motivo di esistere, ma nel momento in cui questa immagine comincia a diventare negativa allora “l’altro”, lo specchio, non ha più motivo di esistere e può essere buttato via.
A seconda della gravità e dell’intensità dei vissuti negativi che il narcisista ha sperimentato nella sua prima infanzia ritroviamo una scala che va dal puro narcisismo patologico, ad un narcisismo con forti tratti borderline e quindi con parti dell’io e del sé frantumate, alle psicopatie e sociopatie.