martedì 30 giugno 2015

FEMMINICIDIO: La teoria di Kiko Arguello


Il 20 giugno scorso, dal palco del Family Day a Roma, il pittore e iniziatore del cammino neocatecumenale Kiko Arguello ha esposto la sua personale teoria sulla genesi del femminicidio facendo particolare riferimento alla vicenda di Matthias Schepp1.
La forza delle sue parole ha dato, nei giorni successivi, un'occasione di discussione profonda nutrita da incomprensioni, più o meno strumentali.
Questa la porzione di discorso contro cui il mondo (prevalentemente non cattolico) si è rivoltato:
[...]Ma se la moglie lo abbandona e se ne va con un’altra donna quest’uomo può fare una scoperta inimmaginabile, perché questa moglie gli toglie il fatto di essere amato, e quando si sperimenta il fatto di non essere amato allora questo richiama l’inferno. Quest’uomo sente una morte dentro così profonda che il primo moto è ucciderla”.
La questione, a mio parere, è piuttosto controversa. In realtà è vero in buona sostanza che i media si sono concentrati ed hanno attaccato Arguello estrapolando una frase da un discorso di oltre 10 minuti2 e questo, di per sé non è corretto e soprattutto, non sarebbe stato necessario.
Il problema è che quando si critica in maniera scorretta si perde buona parte di ragione. Titolare decine di articoli “Il femminicidio? Colpa delle mogli che non amano più i mariti”, non solo è scorretto, ma da anche modo di attaccare la modalità mettendo in ombra un discorso di tale gravità. Per questo mi chiedo se non sarebbe stato più efficace criticare per intero una teoria che, comunque, in qualunque disciplina la si faccia rientrare, fa acqua da tutte le parti.
Ma torniamo al discorso. In buona sostanza Arguello sostiene che senza la fede l'uomo non ha uno scopo nella vita e finisce per trovarlo solo nell'amore della propria moglie per cui, se lei lo lascia, egli sente negata la sua stessa esistenza e dunque uccide lei o i propri figli per farle provare lo stesso genere di dolore o “inferno” per dirlo con le parole dell'ecumenico spagnolo.
E' quindi fuori da ogni dubbio che in nessun punto del suo discorso Arguello giustifichi il femminicidio o ne attribuisca la responsabilità alla donna, ma è anche vero che la ricerca del motivo scatenante di tanta efferatezza appare, ad occhi professionisti, un po' troppo semplicistico. A ognuno il suo mestiere!
L'indagine psicologica sulle motivazioni che sottendono il fenomeno del femminicidio, non è cosa da pittori perché poi si rischia quello che è successo e cioè sollevare vespai per mancanza di competenze. E' pur vero che in una società democratica ognuno può esprimere la propria opinione, ma è buona norma avere adeguate competenze prima di salire su un palco a proclamare verità assolute.
Da un punto di vista sociologico e psicologico, in generale la causa della violenza viene attribuita alla tendenza maschile a non considerare le donne come individui indipendenti e con il diritto di autodeterminarsi, ma piuttosto come cosa propria. A maggior ragione, l’aumento esponenziale nella nostra società di casi di violenza e femminicidio viene fatto risalire ad un mutamento dell’identità femminile, che va verso l’emancipazione e la libertà, e viene quindi vissuta dagli uomini come una minaccia al proprio potere o al proprio diritto al dominio sessista.
Ogni forma di violenza nasce da una profonda fragilità e da un'umiliazione ritenuta inaccettabile che si cerca di negare picchiando. Massimo Recalcati, psicoanalista, su Repubbica scrive: “E' chiaro per lo psicoanalista che questa violenza - anche quando viene esercitata da uomini potenti - non esprime solo l' arroganza dei forti nei confronti dei deboli, ma è generata da una angoscia profonda, da un vero e proprio terrore verso ciò che non si può governare, verso quel limite insuperabile che sempre una donna rappresenta per un uomo.”3
Passando quindi ad una lettura psicoanalitica, si può riconoscere, in molti casi di violenza maschile, la vendetta nei confronti della dipendenza infantile dalla madre per l’esclusione edipica e per le ferite narcisistiche. A questo proposito, Stefano Bolognini psicoanalista, presidente di IPA (International Psychoanalytical Association), distingue due diverse tipologie di “delitto edipico”: da una parte i delitti passionali in cui l’uomo uccide il rivale, prevalentemente legati ad un livello fortemente edipico di odio contro l’equivalente paterno in una dimensione triadica; dall'altra i casi in cui l’uccisore sopprime la moglie o fidanzata dove si osserva un livello ancora più regressivo, nel quale il soggetto vive ancora in una dimensione fortemente diadica di cui non può tollerare la smentita e l’interruzione. In quest'ultimo caso il terzo quasi non c’è, se non come occasionale evidenziatore della inaffidabilità dell’oggetto di base (la madre diadica), vero ed unico oggetto di tutti i movimenti emotivi nel campo.
Bolognini continua poi affermando “La regressione massiccia, la smentita della dipendenza e il bisogno di controllare l’oggetto creano spesso forme di violenza di cui il soggetto non coglie l’aspetto infantile estremo: l’espressione della supremazia fisica anzi serve a rassicurarlo circa la propria superiorità rispetto all’oggetto dal quale è invece così dipendente”.4
Ad un certo punto Arguello sostiene che “I sociologi non sono cristiani e non conoscono l’antropologia cristiana. Il problema è che non possiamo vivere senza essere amati prima dalla nostra famiglia, poi dagli amici a scuola, poi dalla fidanzata e infine da nostra moglie”.
Sicuramente l'antropologia ecumenica e l'antropologia propriamente detta sono due scienze molto diverse tra loro, che divergono in più di un concetto, tuttavia la teoria di Arguello mi pare talmente originale da non trovare riscontro nella scienza che egli stesso invoca.
Potrebbe solo trattarsi di una controversia terminologica poiché probabilmente, quello che l'antropologia cristiana chiama mancanza di fede tale da portare all'omicidio in caso di perdita dell'amore, in psicologia si chiama più semplicemente disturbo di personalità.
A questo proposito, dobbiamo tenere in considerazione che Edwards et al (2003) hanno dimostrato la presenza di una percentuale più alta di disturbi antisociali e borderline nella popolazione dei violenti verso le donne.


1Nel 2011 Matthias Schepp, dopo un sofferto divorzio, rapisce e poi uccide le due figlie per togliersi infine la vita
2https://www.youtube.com/watch?v=f-iBJPHA78A
3Massimo Recalcati su Repubblica, 5 maggio 2012

4http://www.spiweb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3017:uno-sguardo-psicoanalitico-alla-violenza-contro-le-donne&catid=563&Itemid=445

mercoledì 28 gennaio 2015

DALL'EMOZIONE AL SENTIMENTO


Gli uomini attribuiscono troppo peso alle emozioni, confondendole con i sentimenti. Le emozioni servono a ricordarti in ogni momento il colore dei tuoi pensieri, ma hanno una natura violenta e breve. Per questo ti lasciano sempre insoddisfatto, alimentando rimpianti e nostalgie. I sentimenti invece sono un mare profondo e stabile, che evapora solo quando diventa stagnante”. 
(Massimo Gramellini, L'ultima riga delle favole)