sabato 13 dicembre 2014

Puer Aeternus. Tradimento e perdono

Un padre, volendo insegnare al figlio ad essere meno pauroso, ad avere più coraggio, lo fa saltare dai gradini di una scala. Lo mette in piedi sul secondo gradino e gli dice: “Salta, che ti prendo”. Il bambino salta. Poi lo piazza sul terzo gradino, dicendo: “Salta, che ti prendo”. Il bambino salta. Poi lo mette sul quarto gradino, dicendo: “Salta, che ti prendo”. Il bambino ha paura ma poiché si fida del padre, fa quello che il padre gli dice e salta tra le sue braccia. Quindi il padre lo sistema sul quinto, sesto e settimo gradino dicendo ogni volta: “Salta, che ti prendo” e ogni volta il bambino salta e il padre lo afferra prontamente, continuando così per un po’. A un certo punto il bambino è su un gradino molto alto, ma salta ugualmente, come in precedenza; questa volta però il padre si tira indietro, e il bambino cade lungo disteso. Mentre tutto sanguinante e piangente si rimette in piedi, il padre gli dice: “Così impari: mai fidarti di un ebreo, neanche se è tuo padre”.


Con questo brano preso in prestito dalla tradizione ebraica, James Hillman (Puer auternus, Adelphi, Milano, 1999 ) cerca un senso profondo al tradimento come passaggio dall'infanzia all'essere uomo. Dice Hillman: “Con tutta la sua negatività, il tradimento rappresenta tuttavia un progresso rispetto alla fiducia originale, perché conduce alla “morte” del Puer attraverso l’ esperienza animica della sofferenza.”
In quest'ottica il tradimento è visto come la condizione per entrare nel mondo reale, il mondo della coscienza e delle responsabilità reali. Questo perché vivere o amare soltanto laddove ci possiamo fidare, dove siamo al sicuro e contenuti, dove non possiamo essere feriti o delusi, dove la parola data è vincolante per sempre, significa essere irraggiungibili dal dolore e dunque essere fuori dalla vita vera.
Non si dà amore senza possibilità di tradimento, così come non si dà tradimento se non all'interno di un rapporto d'amore. A tradire infatti non sono i nemici e tanto meno gli estranei, ma i padri, le madri, i figli, i fratelli, gli amanti, le mogli, i mariti, gli amici. Solo loro possono tradire, perchè su di loro un giorno abbiamo investito il nostro amore. Il tradimento appartiene all'amore come il giorno alla notte.
Secondo Hillman l’ esperienza dell tradimento è un passaggio obbligato nella conquista della maturità, un trauma necessario che contrasta l'esperienza infantile della fiducia totale, dell’ abbandono ad altri che non potranno mai farci del male, e quando questo non avviene, ci si mantiene in uno stato “puerile“ in cui non si può comprendere appieno il significato delle proprie parole e delle proprie azioni.
Il momento di quella che Hillman chiama la “grande delusione” è anche il momento della scelta, una grande opportunità. Non è tanto il tradimento in sé che porta ad una crescita, ma piuttosto la nostra reazione, la scelta che decidiamo di fare: chi è incapace di perdonare e quindi di superare il tradimento rimane fissato nel trauma ed escluso dalla possibilità di amare.
Per questo Hillman delinea in particolare cinque pericoli, modi disfunzionali di reagire alla ferita che il tradimento porta con sé:
La vendetta. E' una risposta emotiva che mira a saldare il conto ma non emancipa la coscienza perché quando è immediata non ha altro significato se non quello di scaricare una tensione, mentre quando è procrastinata restringe la coscienza in fantasie di astiosità impedendole di fare qualsiasi altra esperienza.
La negazione. Questo meccanismo si concretizza nel negare il valore dell'altro prima idealizzato.
Il cinismo. Non solo si nega il valore dell'altro, ma dell'amore stesso. Se procrastinato questo atteggiamento può condurre al nichilismo, una forma di cinismo portato all’estremo per cui si finisce per non credere più in nulla.
Il tradimento di se. E' un meccanismo che porta a considerare le nostre espressioni sincere di affetto, i bisogni affettivi e i valori emotivi più profondi come cose ridicole che si prova vergogna di aver sentito e di sentire.
La scelta paranoide. Consiste nella ricerca spasmodica di un rapporto esente dalla possibilità del tradimento. Può trattarsi di un rapporto palesemente senza amore, ma anche di un rapporto serratissimo basato su conferme continue e patti.
Il passaggio fondamentale che permette la reale crescita dell'individuo e l'ingresso nel mondo reale, è per Hillman il perdono, ma come prima condizione perché questo sia possibile, egli sostiene, è necessaria la collaborazione dell'altro, la presa di coscienza dellla valenza delle proprie azioni.
James Hillman sottolinea che “il perdono da parte del tradito, richiede l’espiazione da parte del traditore”, dove l'espiazione, viene sottolineato, non è un modo per mettersi a posto la coscienza, ma è una forma di riconoscimento dell’altro. “Se l’offesa se non è ricordata da entrambi gli interessati (e ricordata come offesa) ricade tutta su colui che è stato tradito […] Se è solo il tradito a percepire l’offesa, mentre l’altro ci passa sopra con razionalizzazioni, allora il tradimento continua, anzi si accentua”. Questa elusione in malafede di ciò che è realmente accaduto è, di tutte le piaghe, la più bruciante per il tradito. In questo caso il perdono diventa più difficile; il risentimento cresce perché il traditore non si assume la sua colpa e non prende con onestà coscienza del proprio atto. 
Jung ha detto che il senso dei nostri peccati è che dobbiamo assumerceli, ma bisogna prima riconoscerli, e riconoscere la loro brutalità.

Senza l’esperienza del tradimento, né fiducia né perdono acquisterebbero piena realtà”. Il tradimento è il lato oscuro della fiducia e del perdono, ma anche ciò che li rende possibili. 

domenica 25 maggio 2014

VALUTAZIONE DELLE CAPACITA' GENITORIALI: COSA SIGNIFICA ESSERE GENITORI COMPETENTI?

 “Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare i rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale” (art. 155 c.c., 1° comma)

Sempre più spesso, nell'ambito della psicologia giuridica, viene richiesta al professionista che opera come CTU (Consulente Tecnico Unico), la valutazione delle competenze genitoriali. Tale richiesta può avvenire in diversi casi: adozioni, affidi, indagini a seguito di presunti reati, ipotesi di allontanamento dal nucleo familiare e, sempre più spesso, nelle cause di separazione o divorzio.

La legge n. 54/2006 ha stabilito come regola il principio della cosiddetta bigenitorialità (affido condiviso) che regolamenta le modalità di esercizio della podestà genitoriale: con la legge 50 del 2006 si stabilisce che i genitori devono esercitare la podestà sui figli in modo condiviso per cui, tutte le decisioni di maggiore interesse per i figli (istruzione, educazione,salute) devono essere prese di comune accordo tenendo conto dell'inclinazione naturale e delle ispirazioni dei figli stessi.
Tale modalità di affido è in genere la più frequente e la preferita dai Giudici, tuttavia in alcuni casi, quando la conflittualità fra i coniugi diventa ingestibile e non è possibile trovare un accordo, essi finiscono spesso per screditarsi a vicenda nel loro ruolo di genitori e richiedono l’affidamento esclusivo dei figli.
Il Giudice deve allora stabilire se e quanto ciascun coniuge sia capace di essere un “buon genitore”, per disporre l’affidamento dei figli in modo diverso da quello previsto dalla legge. Per fare questo si avvale di figure professionali quali psicologi forensi, psichiatri, neuropsichiatri infantili la cui funzione principale riguarda la valutazione delle capacità genitoriali, ossia delle capacità di entrambi i coniugi di espletare in maniera competente e soddisfacente il proprio ruolo di madre e padre.
La cosiddetta “valutazione della genitorialità” è una complessa attività di diagnosi, che deve tener conto di diversi parametri, con l'obiettivo specifico di identificare la capacità dei genitori di permettere al minore di crescere e maturare dal punto di vista fisico, cognitivo, sociale ed emozionale e la loro capacità di rispondere ai bisogni evolutivi del figlio.
Ma al di là della valutazione delle potenziali capacità genitoriali, è di estrema importanza porre molta attenzione al desiderio autentico dei figli ed al tipo di attaccamento che manifestano con entrambi i genitori. Altro concetto cardine riguarda il criterio dell'accesso, ossia la capacità di saper mantenere vivo il genitore assente e soprattutto il rispetto al diritto-dovere dell'altro a partecipare alla crescita e all'educazione dei figli. La competenza genitoriale consiste infatti, innanzitutto, nella capacità di consentire ai figli l’accesso anche all’altro genitore, per farli sentire profondamente contenuti e sostenuti da entrambi, fornendo loro il cosiddetto “porto sicuro”, cioè una base a cui poter far sempre ritorno con la certezza di essere accolti e protetti. La qualità dell’attaccamento in età evolutiva è di fondamentale importanza per la costruzione di una personalità armonica ed equilibrata e si costruisce solo se il bambino può permettersi di amare sia la madre che il padre senza temere di far “dispiacere” all’altro (“conflitto di lealtà”).
Purtroppo quest'ultimo punto è spesso quello più critico poiché quando si arriva alla valutazione delle capacità genitoriali si è di fronte a situazioni familiari altamente conflittuali in cui i coniugi, impegnati ad immedesimarsi nel ruolo di “coniuge cattivo”, dimenticano la loro intrinseca capacità ad essere buoni genitori.

In buona sostanza, quel che si chiede al perito è di valutare la qualità delle relazioni che il bambino è in grado di instaurare con ciascun genitore e quanto, ognuno di loro sia in grado di mettere da parte le delusioni e le frustrazioni personali indotte da un rapporto finito a favore di una crescita sana ed adeguata: troppo spesso la delusione di un rapporto coniugale giunto al termine ha il sopravvento sulla necessità di assicurare ai figli due genitori e spesso nemmeno il ricorso all'autorità giudiziaria riesce a placare i conflitti, poiché nelle fasi di separazione o divorzio è necessaria una netta trasformazione di tutte le relazioni e delle abitudini acquisite in una vita affinché siano salvaguardati i ruoli genitoriali anche nel dissolversi di quelli coniugali. 

venerdì 28 marzo 2014

HYSTERIA

Le fantasie che si convertono in sintomi in nessun'altra nevrosi sono evidenti come nell'isteria”. (Sigmund Freud,Introduzione alla psicoanalisi, 1915)

Questa volta voglio parlare dell'Isteria, considerata la prima psicopatologia riconosciuta e -a mio avviso- ingiustamente scomparsa (o meglio frammentata) nella moderna psichiatria.
Di isteria si iniziò a parlare già nel mondo classico e ancor prima in iscrizioni risalenti all’antico Egitto. Considerata da sempre una malattia appartenente all'universo femminile, il suo nome deriva dal greco στέρα (hystera), cioè utero.
L'isteria dei primi studi freudiani è identificata come una psiconevrosi caratterizzata da stati emozionali molto intensi e da attacchi parossistici particolarmente teatrali. Nella versione tipica ottocentesca, l'isteria si manifestava con sintomi molto simili all'epilessia: paralisi degli arti, cecità momentanea, perdita di coscienza e della capacità di parlare. Finito l'attacco, seguiva spesso una fase emozionale molto intensa, in cui il soggetto compiva azioni imprevedibili in uno stato simil-allucinatorio.
Freud individuò le cause in un trauma infantile rimosso che, grazie alla tecnica psicoanalitica poteva essere riportato alla coscienza e neutralizzato.
La personalità isterica, nella definizione più attuale, è caratterizzata da un quadro emotivo particolare in cui domina il bisogno di apparire, di vivere più intensamente, spesso con prevalenza dell’immaginazione ed atteggiamenti di tipo teatrale sfuggendo dalle situazioni spiacevoli per trovare rifugio nella malattia.
Per dirla in parole semplici si tratta di un eccesso di emozioni particolarmente intense che ad un certo punto diventano ingestibili e l'unica possibilità per non lasciarsi sopraffare è quella di riversare l'enorme quantità di energia disorganizzata in una sintomatologia, dandogli così una forma concreta.
Infatti, uno dei principali sintomi dell'isteria è, la conversione per cui, secondo Freud, le cariche emotive in eccesso venivano scaricate su un organo sano fino a renderlo inutilizzabile (emblematico il caso di Anna O.).
La conversione agisce attraverso lo spostamento, un meccanismo inconscio che consente la traslazione dell’investimento da un’entità psichica ad una somatica, come da un organo ad un altro.
Sempre secondo Freud, il sintomo acquisisce in questo modo una doppia valenza: da una parte soddisfa il bisogno primario di esprimere la tensione, dall'altra il bisogno secondario di essere notati.
In base a tutte queste considerazioni possiamo capire che l'isteria è una complessa forma psichica caratterizzata si da una chiara sintomatologia psichiatrica, ma anche da particolari modalità psicologiche.
A partire dalla terza edizione del DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, 1980), l'isteria è stata suddivisa nei tre elementi che la costituiscono:
  • L'aspetto “corporeo”: disturbo somatoforme e disturbo da conversione, che riguardano le dispercezioni corporee e la conversione di cui abbiamo parlato sopra.
  • L'aspetto “mentale”: disturbo dissociativo, con fughe isteriche, amnesie, personalità multiple.
  • La struttura caratteriologica di base: disturbo istrionico di personalità, che si caratterizza per l'emotività eccessiva, la costante ricerca di attenzioni e l'aspetto manipolativo.
Questa frammentazione della sintomatologia originaria comporta, a mio avviso, una grossa lacuna diagnostica. Non è un problema di sola natura terminologica, ma anche una complicazione dal punto di vista terapeutico. Nel concreto, se una patologia prevalentemente fisica, come ad esempio una parestesia, non da risposte significative ad indagini neurologiche, è facile supporre che si tratti di un disturbo da conversione, ma se il sintomo convertito fosse prevalentemente psicologico/psichiatrico, come ad esempio una sindrome depressiva o un disturbo della condotta alimentare, allora di certo ci si concentrerebbe nella cura del sintomo emerso, con terapie lunghe e spesso inefficaci.
Altra problematica riguarda il processo diagnostico in senso stretto: in teoria, un isterico puro, nell'accezione freudiana, dovrebbe essere inquadrato in tutte e tre le classificazioni diagnostiche sopra elencate, ma sappiamo bene che questo non è possibile per cui ci si concentrerà sulla sintomatologia più evidente e superficiale, sminuendo la particolare struttura di personalità dell'isterico e perdendo di vista la psicopatologia originaria.